«Definire cosa siano l’inchiesta o il reportage oggi è molto difficile, perché eterogenei sono gli approcci e i risultati. Alcuni li definiscono metagiornalismo, altri paraletteratura: insomma qualcosa che è sempre a lato, al di qua o al di là di qualche “corrente centrale” che si è andata definendo nel corso del Novecento. Il fatto è che esiste una vasta terra di mezzo, all’incrocio tra letteratura, sociologia, storia (storia del passato prossimo e storia del presente che si fa), antropologia, giornalismo (ma potremmo aggiungere anche urbanistica, ecologia, psicologia, medicina eccetera): è possibile praticarla, aggirarsi al suo interno, mescolando i generi, dilatandoli e rivoltandoli, facendoli reagire l’un con l’altro. Non tutti, ovviamente ci riescono. Ma alcuni esempi contemporanei – Kapuscinski, Aleksievic, Langewiesche e altri – spiegano al meglio, con le loro pagine, con la loro opera, quali livelli possano essere raggiunti.».
Con queste parole Alessandro Leogrande introduceva il suo saggio sui Modelli e metodi nella pratica di inchiesta nel volume Le pratiche dell’inchiesta sociale, curato da Stefano Laffi per le Edizioni dell’Asino nel 2009. Si tratta di un approccio alla scrittura che pesca stilemi e suggestioni da una ricca e articolata tradizione, magistralmente interpretata da Leogrande nei suoi lavori più conosciuti (Uomini e caporali, La frontiera, solo per citarne alcuni).
Ed è a partire da questa riflessione che vogliamo dare avvio alla “Scuola di reportage narrativo Alessandro Leogrande”, un progetto che nasce con la stessa naturalezza con cui il baco produce la seta, a partire dal forte legame che univa e unisce ancora la storia della Fondazione Giuseppe di Vagno e Alessandro Leogrande.