Quanto è distante il 2050? Quanto la nostra società, quella europea per intenderci, sarà cambiata? A pensarci, la data non è poi così lontana e, in fondo, ci separa solo lo spazio di una generazione. Parliamo di un futuro molto prossimo. Pensate sia fantascienza preoccuparci del destino di quella generazione, e anche delle precedenti?
Secondo alcune previsioni molto attendibili, gli scenari della geopolitica mondiale per quella data saranno totalmente rovesciati. Se, da un lato, le attuali grandi potenze, come Cina e India, si consolideranno altre ancora si affacceranno sulla scena, a cominciare proprio dalla ``derelitta`` Africa.
E le potenze che hanno fatto la storia, in modo particolare quella contemporanea, che ruolo giocheranno sullo scacchiere mondiale?
Mentre i due vecchi competitor come Russia e Stati Uniti avranno la possibilità di mantenere la loro posizione, l'Europa, la nostra vecchia cara Europa, rischia, parafrasando un modo di dire calcistico, di sedersi in panchina e guardare gli altri giocare.
Nel 2050 gli equilibri del mondo saranno completamente ribaltati. Asia e Africa rappresenteranno il 75% della popolazione mondiale e più del 55% della ricchezza mondiale rispetto al 31% del 2001; l'America e l'Europa passeranno a produrre dall'attuale 55% del Pil mondiale a solo il 33%; l'Unione europea dal 29% scenderà al 15%; un calo maggiore rispetto a quello che registreranno gli Stati Uniti passando dal 26% al 18%. Senza scordarci che, nel frattempo, è già in corso la quarta rivoluzione industriale o Industry 4.0, come è stata definita per la prima volta ad Hannover nel 2011.
È molto probabile, ma non certo, che nel G8, il club degli otto paesi più ricchi del mondo, non ci potrà essere spazio per nemmeno uno dei paesi europei, presi singolarmente.
In fondo, l’Unione europea non si sta impegnando molto nell'offrire una diversa visione di sé. Stenta a procedere compatta, risponde sempre più con difficoltà alle pulsioni isolazionistiche dei singoli paesi membri, e gli sporadici tentativi di procedere con politiche unitarie appaiono, e non solo all'opinione pubblica, scoordinati e scollegati, con il risultato di non riuscire a rispondere insieme alle sfide lanciate dai grandi cambiamenti in atto.
Se non siamo in grado di unirci politicamente, e non solo economicamente, non avremo più nessun peso. In fondo, l'attuale ruolo dell'UE è già ridotto dalla propria incapacità di avere una vera politica estera e una vera politica di difesa e sicurezza comune. L’attacco cruento del fondamentalismo islamico e le risposte incerte e confuse dell’Europa, lo stanno a dimostrare.
È un dato di fatto anche che l'Europa, nonostante sia il primo esportatore e investitore mondiale, conti ben poco nella politica internazionale e in particolare nella gestione dei conflitti e delle tensioni che periodicamente sorgono per l'accesso alle materie prime e alle fonti energetiche.
Ma per quanto tempo ancora l'Europa potrà splendere della sua luce riflessa?
Siamo destinati a scomparire come le stelle?
Per chi crede che il tema non sia appassionante basta pensare all'impatto che i dati appena elencati potranno avere, con tutti gli effetti e le ricadute, sulle stesse fondamenta dell'Europa. Mentre è in atto la quarta rivoluzione industriale sarà sempre più in discussione il concetto di welfare state nei paesi europei: sempre più anziani, sempre più poveri, sempre meno interventi pubblici, sempre meno tutele sul lavoro. Il rischio così è che le diseguaglianze, sempre più marcate e in atto in tutto il mondo, rischieranno di trovare, paradossalmente, proprio in Europa l'epicentro della esplosione di un conflitto sociale senza precedenti. Come potrà finire? Quali rimedi metteremo in campo per evitare che un simile cambiamento epocale provochi strappi e lacerazioni all'interno dell'Europa? Potrà l'Europa sopravvivere a sé stessa? Quale Unione Europa potremo immaginare per il nostro futuro, neanche poi tanto lontano?
Per molto tempo l'uomo ha coltivato un sogno, o meglio, un'utopia: liberarsi dal lavoro.
Oggi corriamo il paradosso che avvenga il contrario, e cioè che sia il lavoro a liberarsi dell'uomo. Fine dell'utopia.
Ci troviamo davanti ad uno scenario inedito e non solo in Europa. La quarta rivoluzione, quella segnata dall'avvento dell'era del web, sta producendo una joblessgrowth ovvero uno sviluppo economico non accompagnato dalla creazione di nuovi posti di lavoro, che al contrario sono erosi proprio dall'innovazione tecnologica e dai processi di automazione.
La produttività del lavoro aumenta mentre l’occupazione diminuisce; i bisogni diventano più articolati e complessi mentre i salari scendono; sfumano sempre più i confini tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, lavoro e tempo libero, luogo di lavoro e spazio privato.
C’è un rapporto diretto, un filo rosso che lega l’evoluzione tecnologica con l’aumento delle disuguaglianze. E c’è un rapporto diretto tra tecnologia e occupazione in quanto il primo impatto di ogni passaggio è la sostituzione di sempre più numerose attività umane con le macchine. Se l'avvento della meccanica ha sollevato l'uomo dai lavori più faticosi, l’informatica, nella sua prima fase, ha sostituito i lavori concettuali. Molto presto l’intelligenza artificiale sostituirà anche lavori di altra natura, dal guidare le auto e gli aerei allo scrivere articoli di giornale, fino a compiere operazioni chirurgiche.
Così, mentre si moltiplicheranno queste nuove forme di lavoro l’esperienza dei lavoratori sarà, invece, sempre più fluida, instabile, eterea, impalpabile.
Tutto questo ci deve far riflettere, a cominciare dalle questioni di tipo economico, nel momento in cui nella distribuzione della ricchezza prodotta la quota che va al capitale è sempre più crescente rispetto a quella che dovrebbe andare a remunerare il lavoro, per continuare con quelle di carattere sociale: le dinamiche d’inclusione e i percorsi di formazione, il rapporto tra l’uomo e la macchina, le domande di tutela, le forme di rappresentanza.
E’ possibile pensare il futuro oltre la disoccupazione tecnologica?
Forse per conciliare l'era iperconnessa del web con la prosperità economica, lo sviluppo tecnologico con la diminuzione delle diseguaglianze, occorre proprio una rivoluzione.
Etica e politica, prima che economica.
Le elezioni politiche italiane hanno rinnovato (per usare un eufemismo) il Parlamento e rivoluzionato la scena politica. Ci sono stati due vincitori (un altro paradosso) ma nessuno dei due è in grado di costituire un governo senza l'appoggio dello sconfitto principale. La situazione appare complicata, una situazione incerta e non si vedono in fondo spiragli di luce.
Il voto italiano chiude un ciclo di elezioni europee che hanno visto crescere un po’ovunque partiti populisti, nazionalisti e destra xenofoba. In qualche caso i partiti nazionalisti governano, in altri l'ultra destra non ha raggiunto l’obiettivo di conquistare il potere ma la crescita di consenso e il populismo continua a rappresentare un problema.
E soprattutto un mistero.
Perché ad Obama che non ha governato male è seguito uno come Trump? Perché in Germania Angela Merkel, nonostante gli evidenti risultati postivi per l’economia tedesca è costretta a mettere in piedi una Grosse Koalition con i rivali del Spd? Perché gli inglesi preferiscono lasciare l'Ue e i catalani staccarsi dal resto della Spagna?
Nel frattempo, il nuovo governo di Vienna ha idealmente traghettato l'Austria in una comunità di ``renitenti europei``. Ne fanno parte il gruppo di Visegrád (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) e un anello di simpatizzanti, (Croazia, Slovenia e adesso Austria) uniti dalla comune propaganda nazionalista e anti europea, contro l'accoglienza di migranti e rifugiati.
È il vecchio impero austro-ungarico che torna in superfice. Non solo geograficamente ma anche politicamente. Una restaurazione?
Insomma, per capire dove sta andando la politica (e con essa il destino delle democrazie) e prima di intraprendere un'analisi sulle dinamiche globali occorre ragionare innanzitutto su quali elementi si basa oggi il consenso e su come si determinano le scelte di voto.
È indubbio che oramai grande potere lo hanno i mezzi di comunicazione e in modo particolare l’informazione che viaggia sulla “rete”.
Un territorio nel quale ci si deve orientare e districare tra censura e propaganda, false notizie e diffusione di segreti, nel quale i protagonisti sono personaggi anonimi ed oscuri, invisibili come gli “hacker”, o perfetti sconosciuti ``odiatori`` seriali come gli “hater”.
Anche se poi - ci viene detto - è sempre la parola del politico di turno a catturare attenzione e consenso. La sua capacità di creare intorno alla sua figura il mito del capo, del leader, della guida in grado di condurre il popolo verso la ``felicità`` promessa.
Il politico che gira i ``mercati rionali`` e che non frequenta i mercati finanziari. Il politico in mezzo alla ``gente`` ma con ``twitter`` sempre a portata di mano.
La verità è che il potere dei mezzi di comunicazione di massa, nelle loro forme ed evoluzione, non è mai stato messo in discussione né accantonato.
In maniera sempre più evidente oggi il Potere si fonda sulla perfetta conoscenza e sul controllo, sull'utilizzo ``sapiente`` e ``consapevole`` dei mezzi di comunicazione.
Ciò che si fatica a riconoscere semmai, è il divorzio ormai conclamato tra la creazione del consenso e la capacità di governo, tra la Politica e, per l'appunto, il Potere!
Qualcuno ci sa dire come sarà la politica al tempo dell'era digitale?
Parliamo spesso di Europa solo per le procedure e la burocrazia e non pensiamo invece come al contrario la vita di ogni giorno possa influenzare le Istituzioni europee. Non si sarà mai fatto abbastanza ma tutti quanti dobbiamo continuare a perseguire il bene comune di 500 milioni di persone diverse attraverso il rispetto e il dialogo. Avvicinare linguaggi e culture, condividere e rispettare codici e regole, costruire ponti e abbattere muri, tenere alta e viva la sensibilità dei cittadini di quell’Europa di tutti i giorni, di quelli che mettono il “noi” davanti all’ “io”, di quelli che ti fanno dire comunque e sempre «prima l’Europa!».
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L’edizione 2019 della SBP si terrà nel nome di Antonio Megalizzi e Barto Pedro Orent-Niedzielski.
STAFF
Direzione Generale: Francesco Errico
Comitato Scientifico: Maurizio Del Conte, Giuseppe Gentile, Mirella Giannini
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