Granai della comunità

Scuola per la Buona Politica

La Fondazione Di Vagno ha ritenuto di dar vita nel 2012 alla Scuola per la Buona Politica, sull’ esempio dell’iniziativa ideata dalla Fondazione Basso di Roma e forte dell’esperienza fatta per due anni consecutivi assieme alla Fondazione Socialismo.
L’idea nasce dalla necessità di dare risposte concrete al decadimento della cultura politica, allo scollamento, se non disillusione, dei cittadini dalla partecipazione alla vita pubblica e alle scelte strategiche della comunità.
Tanti sono i motivi del generale disinteresse dei cittadini alla “cosa pubblica”: dalla inadeguatezza di una classe dirigente ormai chiusa in se stessa e rintanata nella difesa ad oltranza della “casta”, ai problemi legati alla correttezza e all’obbiettività dell’informazione; assieme alla crisi delle organizzazioni di massa, i partiti e i sindacati, ove un tempo avveniva una parte significativa della formazione politica dei cittadini, a vantaggio dei “movimenti” e di forze politiche sempre più estemporanee, legate al leaderismo o a pulsioni populistiche e demagogiche.
I social media, i nuovi strumenti di comunicazione, i processi di integrazione del mondo globalizzato sempre più veloci e rapidi, fanno pensare che sarà difficile tornare alle forme di coinvolgimento conosciute nel secolo scorso. Altre saranno le forme.
Per chi ha a cuore l’effettiva partecipazione democratica dei cittadini nella gestione della “cosa pubblica”, per chi ritiene che il potere popolare risieda nel senso etico e in una forte maturità da parte dei cittadini stessi, per chi crede che essere ``cittadini consapevoli`` equivalga ad essere rappresentati da ``politici affidabili``,per chi non abbandonerà mai l’idea che uno Stato debba fondarsi sulla Cultura e l’Istruzione, per tutti quelli interessati ad assumersi responsabilità
Ad essi la Fondazione Di Vagno si rivolge, partendo dalle giovani generazioni, consapevole dell’importanza di costruire una “identità europea” diffusa e condivisa.
La Scuola per la Buona Politica non si propone compiti di “alta formazione”: molto più semplicemente, vuole offrire una formazione non formale fatta di strumenti e mezzi di educazione alla cittadinanza democratica, richiamando l'attenzione dei fruitori su questioni rilevanti per il cittadino come tale, che voglia essere soggetto critico e incisivo nella società civile, nella società politica e nelle scelte strategiche della propria comunità locale ed europea.
La Scuola per la Buona Politica si propone come fonte di informazione plurale e indipendente e come luogo di dialogo costruttivo per i numerosi partecipanti alle sue diverse attività, rivendicando totale indipendenza da prospettive o interessi partitici e, più in generale, da progetti di gruppi e/o istituzioni politiche nazionali o locali; non ha lo scopo di formare quadri di partito, preparare personale politico, raccogliere simpatie o convogliare consensi in una qualche direzione determinata.
L’obiettivo è la formazione dei cittadini, ciascuno dei quali assume l’orientamento politico che crede.

L'EUROPA è MOBILE — SBP 2015

L’EUROPA È MOBILE
I giovani europei costituiscono una generazione che vive in un contesto sociale, politico, demografico, economico e tecnologico in rapida evoluzione. Le politiche giovanili dell’Unione Europea mirano a far fronte alle aspettative dei giovani e allo stesso tempo a incoraggiarli a dare un contributo alla costruzione del futuro dell’Europa.
L’attuale generazione di giovani europei è la prima ad essere cresciuta in un’Europa pacifica, priva di frontiere. Un’Europa dove tutti i cittadini possono muoversi lavorare e apprendere più liberamente, un’Europa diversa da quella in cui sono cresciuti i loro nonni o i loro stessi genitori.
In questo contesto l’Unione Europea si è posta come obiettivo primario “incoraggiare lo sviluppo di scambi giovanili e lo scambio di istruttori socio-educativi…”
Prima del 2001 le attività delle Istituzioni Europee nel settore giovanile si incentravano per lo più sull’ attuazione di programmi specifici, come “Gioventù per l’Europa”, lanciato nel 1988. Tuttavia, secondo l’opinione generale queste azioni necessitavano di essere sostenute ulteriormente e i giovani necessitavano di essere coinvolti maggiormente. Allo scopo di ampliare e approfondire il dibattito politico e di andare oltre ai programmi europei esistenti, la Commissione Europea ha mirato alla costruzione di una maggiore cooperazione per i decenni futuri.
Il punto centrale di questa svolta è stato il Libro Bianco sulla Gioventù, adottato nel Novembre 2001.
Il Libro proponeva agli Stati Membri di aumentare la cooperazione in quattro aree prioritarie per i giovani: partecipazione, informazione, attività di volontariato e miglioramento delle politiche riguardanti i giovani.
Il Libro Bianco, inoltre, proponeva di tenere maggiormente in considerazione la dimensione giovanile anche nel contesto di altre rilevanti politiche, come ad esempio l’istruzione, la formazione, l’occupazione, l’inclusione sociale, la salute e la lotta contro la discriminazione.
Il Libro Bianco voleva rappresentare anche una risposta all’apparente disaffezione dei giovani nei confronti delle tradizionali forme di partecipazione nella vita pubblica, sollecitandoli a diventare cittadini maggiormente attivi.
Sulla base delle considerazioni su esposte la SBP 2015 si propone così, attraverso i suoi percorsi, di attivare la cittadinanza attiva dei giovani, attraverso il dialogo ed il coinvolgimento aperto in dibattiti politici legati all’agenda europea, al fine di migliorare il senso di appartenenza e identità al progetto europeo; favorire l’integrazione sociale e occupazionale dei giovani, attraverso obiettivi di miglioramento degli standard legati all’istruzione, alla formazione, alla conoscenza delle opportunità di occupazione per creare una società più solidale e coesa; sostenere la promozione e la conoscenza dei programmi europei sulla mobilità (studio, formazione, lavoro, conoscenza …) al fine di assicurare ai giovani pari opportunità nell’istruzione e nel mercato del lavoro.

EUROPA - RESTO DEL MONDO — SBP 2016

``EUROPA - RESTO DEL MONDO
SCENARI OBBLIGATI PER UN PROSSIMO FUTURO``

Quanto è distante il 2050? Quanto la nostra società, quella europea per intenderci, sarà cambiata? A pensarci, la data non è poi così lontana e, in fondo, ci separa solo lo spazio di una generazione. Parliamo di un futuro molto prossimo. Pensate sia fantascienza preoccuparci del destino di quella generazione, e anche delle precedenti?
Secondo alcune previsioni molto attendibili, gli scenari della geopolitica mondiale per quella data saranno totalmente rovesciati. Se, da un lato, le attuali grandi potenze, come Cina e India, si consolideranno altre ancora si affacceranno sulla scena, a cominciare proprio dalla ``derelitta`` Africa.
E le potenze che hanno fatto la storia, in modo particolare quella contemporanea, che ruolo giocheranno sullo scacchiere mondiale?
Mentre i due vecchi competitor come Russia e Stati Uniti avranno la possibilità di mantenere la loro posizione, l'Europa, la nostra vecchia cara Europa, rischia, parafrasando un modo di dire calcistico, di sedersi in panchina e guardare gli altri giocare.
Nel 2050 gli equilibri del mondo saranno completamente ribaltati. Asia e Africa rappresenteranno il 75% della popolazione mondiale e più del 55% della ricchezza mondiale rispetto al 31% del 2001; l'America e l'Europa passeranno a produrre dall'attuale 55% del Pil mondiale a solo il 33%; l'Unione europea dal 29% scenderà al 15%; un calo maggiore rispetto a quello che registreranno gli Stati Uniti passando dal 26% al 18%. Senza scordarci che, nel frattempo, è già in corso la quarta rivoluzione industriale o Industry 4.0, come è stata definita per la prima volta ad Hannover nel 2011.
È molto probabile, ma non certo, che nel G8, il club degli otto paesi più ricchi del mondo, non ci potrà essere spazio per nemmeno uno dei paesi europei, presi singolarmente.
In fondo, l’Unione europea non si sta impegnando molto nell'offrire una diversa visione di sé. Stenta a procedere compatta, risponde sempre più con difficoltà alle pulsioni isolazionistiche dei singoli paesi membri, e gli sporadici tentativi di procedere con politiche unitarie appaiono, e non solo all'opinione pubblica, scoordinati e scollegati, con il risultato di non riuscire a rispondere insieme alle sfide lanciate dai grandi cambiamenti in atto.
Se non siamo in grado di unirci politicamente, e non solo economicamente, non avremo più nessun peso. In fondo, l'attuale ruolo dell'UE è già ridotto dalla propria incapacità di avere una vera politica estera e una vera politica di difesa e sicurezza comune. L’attacco cruento del fondamentalismo islamico e le risposte incerte e confuse dell’Europa, lo stanno a dimostrare.
È un dato di fatto anche che l'Europa, nonostante sia il primo esportatore e investitore mondiale, conti ben poco nella politica internazionale e in particolare nella gestione dei conflitti e delle tensioni che periodicamente sorgono per l'accesso alle materie prime e alle fonti energetiche.
Ma per quanto tempo ancora l'Europa potrà splendere della sua luce riflessa?
Siamo destinati a scomparire come le stelle?
Per chi crede che il tema non sia appassionante basta pensare all'impatto che i dati appena elencati potranno avere, con tutti gli effetti e le ricadute, sulle stesse fondamenta dell'Europa. Mentre è in atto la quarta rivoluzione industriale sarà sempre più in discussione il concetto di welfare state nei paesi europei: sempre più anziani, sempre più poveri, sempre meno interventi pubblici, sempre meno tutele sul lavoro. Il rischio così è che le diseguaglianze, sempre più marcate e in atto in tutto il mondo, rischieranno di trovare, paradossalmente, proprio in Europa l'epicentro della esplosione di un conflitto sociale senza precedenti. Come potrà finire? Quali rimedi metteremo in campo per evitare che un simile cambiamento epocale provochi strappi e lacerazioni all'interno dell'Europa? Potrà l'Europa sopravvivere a sé stessa? Quale Unione Europa potremo immaginare per il nostro futuro, neanche poi tanto lontano?

IL LAVORO, UTOPIE E RIVOLUZIONI NELL'ERA DEL WEB — SBP 2017

``IL LAVORO, UTOPIE E RIVOLUZIONI NELL'ERA DEL WEB``

Per molto tempo l'uomo ha coltivato un sogno, o meglio, un'utopia: liberarsi dal lavoro.
Oggi corriamo il paradosso che avvenga il contrario, e cioè che sia il lavoro a liberarsi dell'uomo. Fine dell'utopia.
Ci troviamo davanti ad uno scenario inedito e non solo in Europa. La quarta rivoluzione, quella segnata dall'avvento dell'era del web, sta producendo una joblessgrowth ovvero uno sviluppo economico non accompagnato dalla creazione di nuovi posti di lavoro, che al contrario sono erosi proprio dall'innovazione tecnologica e dai processi di automazione.
La produttività del lavoro aumenta mentre l’occupazione diminuisce; i bisogni diventano più articolati e complessi mentre i salari scendono; sfumano sempre più i confini tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, lavoro e tempo libero, luogo di lavoro e spazio privato.
C’è un rapporto diretto, un filo rosso che lega l’evoluzione tecnologica con l’aumento delle disuguaglianze. E c’è un rapporto diretto tra tecnologia e occupazione in quanto il primo impatto di ogni passaggio è la sostituzione di sempre più numerose attività umane con le macchine. Se l'avvento della meccanica ha sollevato l'uomo dai lavori più faticosi, l’informatica, nella sua prima fase, ha sostituito i lavori concettuali. Molto presto l’intelligenza artificiale sostituirà anche lavori di altra natura, dal guidare le auto e gli aerei allo scrivere articoli di giornale, fino a compiere operazioni chirurgiche.
Così, mentre si moltiplicheranno queste nuove forme di lavoro l’esperienza dei lavoratori sarà, invece, sempre più fluida, instabile, eterea, impalpabile.
Tutto questo ci deve far riflettere, a cominciare dalle questioni di tipo economico, nel momento in cui nella distribuzione della ricchezza prodotta la quota che va al capitale è sempre più crescente rispetto a quella che dovrebbe andare a remunerare il lavoro, per continuare con quelle di carattere sociale: le dinamiche d’inclusione e i percorsi di formazione, il rapporto tra l’uomo e la macchina, le domande di tutela, le forme di rappresentanza.
E’ possibile pensare il futuro oltre la disoccupazione tecnologica?
Forse per conciliare l'era iperconnessa del web con la prosperità economica, lo sviluppo tecnologico con la diminuzione delle diseguaglianze, occorre proprio una rivoluzione.
Etica e politica, prima che economica.

DOVE VA LA POLITICA DEL NUOVO MILLENIO? — SBP 2018

``DOVE VA LA POLITICA DEL NUOVO MILLENIO?
LA RICERCA DEL CONSENSO TRA POTERE E IMMAGINAZIONE``

Le elezioni politiche italiane hanno rinnovato (per usare un eufemismo) il Parlamento e rivoluzionato la scena politica. Ci sono stati due vincitori (un altro paradosso) ma nessuno dei due è in grado di costituire un governo senza l'appoggio dello sconfitto principale. La situazione appare complicata, una situazione incerta e non si vedono in fondo spiragli di luce.
Il voto italiano chiude un ciclo di elezioni europee che hanno visto crescere un po’ovunque partiti populisti, nazionalisti e destra xenofoba. In qualche caso i partiti nazionalisti governano, in altri l'ultra destra non ha raggiunto l’obiettivo di conquistare il potere ma la crescita di consenso e il populismo continua a rappresentare un problema.
E soprattutto un mistero.
Perché ad Obama che non ha governato male è seguito uno come Trump? Perché in Germania Angela Merkel, nonostante gli evidenti risultati postivi per l’economia tedesca è costretta a mettere in piedi una Grosse Koalition con i rivali del Spd? Perché gli inglesi preferiscono lasciare l'Ue e i catalani staccarsi dal resto della Spagna?
Nel frattempo, il nuovo governo di Vienna ha idealmente traghettato l'Austria in una comunità di ``renitenti europei``. Ne fanno parte il gruppo di Visegrád (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia) e un anello di simpatizzanti, (Croazia, Slovenia e adesso Austria) uniti dalla comune propaganda nazionalista e anti europea, contro l'accoglienza di migranti e rifugiati.
È il vecchio impero austro-ungarico che torna in superfice. Non solo geograficamente ma anche politicamente. Una restaurazione?
Insomma, per capire dove sta andando la politica (e con essa il destino delle democrazie) e prima di intraprendere un'analisi sulle dinamiche globali occorre ragionare innanzitutto su quali elementi si basa oggi il consenso e su come si determinano le scelte di voto.
È indubbio che oramai grande potere lo hanno i mezzi di comunicazione e in modo particolare l’informazione che viaggia sulla “rete”.
Un territorio nel quale ci si deve orientare e districare tra censura e propaganda, false notizie e diffusione di segreti, nel quale i protagonisti sono personaggi anonimi ed oscuri, invisibili come gli “hacker”, o perfetti sconosciuti ``odiatori`` seriali come gli “hater”.
Anche se poi - ci viene detto - è sempre la parola del politico di turno a catturare attenzione e consenso. La sua capacità di creare intorno alla sua figura il mito del capo, del leader, della guida in grado di condurre il popolo verso la ``felicità`` promessa.
Il politico che gira i ``mercati rionali`` e che non frequenta i mercati finanziari. Il politico in mezzo alla ``gente`` ma con ``twitter`` sempre a portata di mano.
La verità è che il potere dei mezzi di comunicazione di massa, nelle loro forme ed evoluzione, non è mai stato messo in discussione né accantonato.
In maniera sempre più evidente oggi il Potere si fonda sulla perfetta conoscenza e sul controllo, sull'utilizzo ``sapiente`` e ``consapevole`` dei mezzi di comunicazione.
Ciò che si fatica a riconoscere semmai, è il divorzio ormai conclamato tra la creazione del consenso e la capacità di governo, tra la Politica e, per l'appunto, il Potere!
Qualcuno ci sa dire come sarà la politica al tempo dell'era digitale?

EUROPE FIRST! — SBP 2019

``EUROPE FIRST!``

Parliamo spesso di Europa solo per le procedure e la burocrazia e non pensiamo invece come al contrario la vita di ogni giorno possa influenzare le Istituzioni europee. Non si sarà mai fatto abbastanza ma tutti quanti dobbiamo continuare a perseguire il bene comune di 500 milioni di persone diverse attraverso il rispetto e il dialogo. Avvicinare linguaggi e culture, condividere e rispettare codici e regole, costruire ponti e abbattere muri, tenere alta e viva la sensibilità dei cittadini di quell’Europa di tutti i giorni, di quelli che mettono il “noi” davanti all’ “io”, di quelli che ti fanno dire comunque e sempre «prima l’Europa!».

L’edizione 2019 della SBP si terrà nel nome di Antonio Megalizzi e Barto Pedro Orent-Niedzielski.

Democrazia 2020 — SBP 2020

DEMOCRAZIA 2020 – POLITICA, GIURISDIZIONE, AMMINISTRAZIONE, INFORMAZIONE: QUATTRO SFIDE PER LE ISTITUZIONI.
La democrazia liberale, il sistema di governance più avanzato che nel corso della storia l’uomo sia riuscito a realizzare, sta vivendo una fase di difficoltà. La ragione principale è la percezione diffusa nella cittadinanza che le istituzioni democratiche non siano in grado di dare risposte adeguate ai problemi delle collettività governate. Si va per converso affermando la convinzione che il sacrificio dei diritti possa rendere l’azione di governo più efficace tanto da rendere accettabile questo scambio. In molti paesi del mondo e anche all’interno dell’Europa si vanno affermando le ‘democrature’, democrazie senza diritti con uomini forti al comando, caratterizzate da un progressivo smantellamento della divisione dei poteri.
La politica è al centro di questo processo che sta indebolendo o rischia di indebolire le istituzioni, ma non è la sola responsabile né la sola vittima. Concentrando l’attenzione sul nostro paese si coglie la difficoltà della politica a definire le policy e a raccogliere il consenso necessario a trasformarle in atti normativi, ma si coglie anche, nei casi in cui le policy siano state definite e trasformate in norme, la grande difficoltà a implementarle per la complessità e opacità del sistema normativo nel suo insieme e per il ruolo degli organi giudiziari e delle strutture amministrative.
La difficoltà a dare risposte potrebbe derivare quindi da una responsabilità collettiva, sia pure con pesi e ruoli diversi, dell’insieme del sistema istituzionale. Vale per l’Unione Europea, lo Stato centrale, per le regioni e per gli Enti Locali, la cui azione è soggetta al più diretto e immediato scrutinio dei cittadini.

Una Pubblica Amministrazione per il XXI Secolo - SBP 2021

Con l’obiettivo di qualificare l’azione politica e dove l’aggettivo ‘Buona’ vuole riportare l’attenzione sul cuore dell’azione: il perseguimento dell’interesse generale.
L’individuazione dei bisogni, le visioni necessarie per progettare un futuro migliore per le comunità e la definizione delle policy per soddisfare le prime e creare le condizioni per il secondo sono la base dell’azione politica; la loro implementazione è ciò che le dà sostanza e che porta ai frutti sperati. È questa la missione di una ‘Buona’ Amministrazione, mentre la Pubblica Amministrazione centrale e periferica del nostro paese è in grande sofferenza. Gli incontri previsti dal programma dell’edizione 2021 affronteranno alcune ragioni di questa sofferenza e le azioni in atto o in preparazione per ridurla o rimuoverla. L’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, dotato di risorse europee e nazionali per oltre 240 miliardi di euro da impiegare entro rigorosi vincoli temporali e metodologici, si presenta come una sfida imponente per le nostre amministrazioni, determina l’accelerazione dei processi di ammodernamento di normative, metodi e processi e richiede una rapida evoluzione delle competenze degli amministratori e delle amministrazioni, e dei professionisti e delle imprese che con essi interagiscono.
Ad essi, in particolare, sono indirizzati gli incontri previsti nel programma per la sessione 2021 della Scuola di Buona Politica: “Una Pubblica Amministrazione per il XXI Secolo”

Il piacere di lavorare

Parlare di lavoro - quando non lo si fa con una visione solo ideologica - significa parlare di molte cose e da diverse angolazioni. Della carenza di domanda di lavoro (perché?), della impreparazione media dell’offerta di lavoro (perché?), di un sistema di relazioni industriali da rivedere, di un impianto della contrattazione collettiva che deve ancora trovare nuovi assetti.
Con l’affermazione del lavoro intellettuale e delle nuove tecnologie sono cambiati i tragitti socio professionali, i mestieri, la composizione dei ceti sociali, le dinamiche e anche le aspettative degli individui. Un mercato del lavoro chiuso ed asfittico penalizza soprattutto l’occupazione giovanile, l’universalità dei sistemi di protezione sociale, le aspirazioni dei lavoratori a retribuzioni in linea con la media europea. Si è provato a dare, invero dopo anni di improduttive discussioni, una risposta con una parziale riforma del Diritto del Lavoro attraverso il cosiddetto Jobs act, che andrà valutato nel tempo.
È comunque una materia troppe volte affrontata con superficialità, talvolta demagogica, o con pregiudizi ideologici che non portano e non porteranno lontano. Nell’epoca declamatoria dei redditi di cittadinanza, è indispensabile soffermarsi un attimo per dare credibilità, rigore e solidità scientifica ad ogni proposta.
È giunto il momento di immaginare proposte e soluzioni in un mondo che ci sta sfuggendo di mano, dove gli esclusi dal mondo del lavoro sono troppi e gli inclusi sono a loro volta mediamente insoddisfatti anche se intoccabili.
Per tornare ad avere il piacere di lavorare.

STAFF
Direzione Generale: Francesco Errico
Comitato Scientifico: Maurizio Del Conte, Giuseppe Gentile, Mirella Giannini

Seminario - Perché lavorare sia ancora un piacere

Parlare di lavoro significa parlare di molte cose e da diverse angolazioni. Della carenza di domanda di lavoro (perché?), della impreparazione media dell’offerta di lavoro (perché?), di un sistema di relazioni industriali da rivedere, di un impianto della contrattazione collettiva che deve ancora trovare nuovi assetti.
Con l’affermazione del lavoro intellettuale e delle nuove tecnologie sono cambiati i tragitti socio professionali, i mestieri, la composizione dei ceti sociali, le dinamiche e anche le aspettative degli individui. Un mercato del lavoro chiuso ed asfittico penalizza soprattutto l’occupazione giovanile, l’universalità dei sistemi di protezione sociale, le aspirazioni dei lavoratori a retribuzioni in linea con la media europea. Si è provato a dare, invero dopo anni di improduttive discussioni, una risposta con una parziale riforma del Diritto del Lavoro attraverso il cosiddetto Jobs act, che andrà valutato nel tempo.
È comunque una materia troppe volte affrontata con superficialità, talvolta demagogica, o con pregiudizi ideologici che non portano e non porteranno da nessuna parte. Nell’epoca declamatoria dei redditi di cittadinanza, è indispensabile fermarsi un attimo per dare credibilità, rigore e solidità scientifica ad ogni proposta.
È giunto il momento di immaginare proposte e soluzioni in un mondo che ci sta sfuggendo di mano, dove gli esclusi dal mondo del lavoro sono troppi e gli inclusi sono a loro volta mediamente insoddisfatti anche se intoccabili. Per tornare ad avere il piacere di lavorare.

Dibattito - Il mezzogiorno tra lavoro e reddito di cittadinanza

Redditi di cittadinanza, redditi minimi garantiti o di inserimento, redditi di inclusione. Ed ammortizzatori sociali. Diversi modi di definire un’azione di sostegno in favore di chi, appunto, non ha un reddito, o non ha un lavoro, o vive in condizioni di forte disagio.
Ma non sono la stessa cosa e andrebbe fatta un po’ di chiarezza, specie in questo periodo dove la promessa di nuove misure di sostegno di questo tipo pare abbia contribuito ad influenzare e indirizzare il risultato elettorale del 4 marzo.
L’idea del “reddito di cittadinanza” - o “basic income” - protagonista dell’attuale dibattito politico, è essenzialmente quella del diritto di chiunque, per il solo fatto di essere cittadino e senza condizioni, a un reddito minimo erogato dallo Stato. Ma è proprio questa l’idea dei sostenitori di questa misura? A chi verrebbe erogato? Ed a quali condizioni? E per quanto tempo?
Misure di questo tipo potrebbero entrare in contrasto con l’attivazione delle persone nella ricerca di un’occupazione? Potrebbero disincentivarla? Se invece ci fossero criteri di condizionalità, lo farebbero invero assomigliare di più ad un comune ammortizzatore sociale.
E’ forse il momento di porci qualche domanda e capirne di più. E anche andare a guardare cosa fanno gli altri Paesi Europei da cui potremmo - e forse dovremmo - trarre ispirazione.

Preferirei di no

Il lavoratore subordinato industriale è il principale soggetto di riferimento per lo Statuto dei Lavoratori, di cui celebriamo il cinquantenario.
Qui, l’obbedienza alle regole organizzative trova una contropartita nelle tutele sociali, mentre alla disobbedienza individuale lo Statuto funziona dando la sponda collettiva della rivendicazione sindacale.
Bartleby, lo scrivano, esce da questo schema organizzativo ed utilitarista. Melville lo immerge in un mondo di sentimenti di com-passione verso l’egoismo e la disobbedienza alle regole del lavoro. Ci offre così la più grande metafora del lavoratore, subordinato ma disobbediente, di una ribellione quasi gentile ma imperturbabile, che lo porta alla emarginazione e poi ancora alla sparizione dell’anima e del corpo.
con Francesco Errico
``Bartleby, lo scrivano``, lettura di Pier Luigi Morizio

Seminari lezioni Salvemini

In occasione del 60° anniversario della morte di Gaetano Salvemini, storico, saggista e docente universitario pugliese, la Fondazione “Giuseppe Di Vagno (1889-1921)`` ha organizzato e promosso un ciclo di incontri dal titolo “L’eredità di Gaetano Salvemini” che si sono tenuti presso l’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari.
L’obiettivo di questi appuntamenti era quello di valorizzare ulteriormente la biografia e l'opera salveminiana attraverso un percorso di lezioni che si sono svolte a partire dal 3 ottobre per concludersi il 6 novembre 2017.
L’occasione data dalla possibilità di poter proseguire nel tempo può offrire l’opportunità per valorizzarne ulteriormente pensiero e attualità dell'opera di Salvemini e la sua figura di intellettuale moderno, cosmopolita, aperto alle contaminazioni culturali, intransigente antifascista.
La proposta sulla quale la Fondazione si è impegnata già dal 2017 mira a porre le basi per realizzare, partendo dal 2018, una attività permanente (seminari, convegni) che consenta a Bari e a tutta la Regione Puglia di divenire un punto di riferimento nazionale per gli studi salveminiani, collegando, possibilmente, tale iniziativa con l’annuale Gaetano Salvemini Colloquium in Italian History and Culture, un evento organizzato dal Consolato Italiano di Boston e dal Center for European Studies di Harvard.

Seminari lezioni Salvemini 2017

Negli ultimi anni si è assistito a un crescente ritorno d’interesse per la biografia e il pensiero di Gaetano Salvemini, non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, dove lo storico pugliese trascorse gli anni compresi tra il 1933 e il 1949, anno in cui rientrò definitivamente in Italia da dove era partito nell’agosto del 1925.
Storico, docente universitario, saggista e giornalista, fu un convinto meridionalista ed antifascista. Nacque a Molfetta nel 1873, si laureò in Lettere a Firenze dove apprezzò le teorie marxiste, pur sottoposte a revisione critica, maturando una forte convinzione nella difesa degli oppressi e schierandosi con il partito socialista. La sua lotta per la moralizzazione della vita pubblica lo portò a criticare aspramente Giolitti considerato “ministro della malavita” e la guerra di Libia, definita “scatolone di sabbia”. Si staccò dal partito socialista, reputandolo non abbastanza attento alla questione meridionale.
Fu nel 1915 tra i fautori dell’intervento e si arruolò volontario sin dal primo anno di guerra. Nel 1919 venne eletto deputato e sostenne una vivace polemica contro il nascente movimento fascista. Dopo l’avvento di Mussolini, Salvemini continuò ad opporsi al fascismo, anche con conferenze a Londra sulla politica estera italiana, suscitando le ire del governo. Mentre gran parte del mondo accademico italiano si sottomise al regime (“Manifesto degli intellettuali fascisti”, marzo 1925) Salvemini venne arrestato ed imprigionato. Costretto all’esilio, a Londra, a Parigi e negli Stati Uniti continuò la sua battaglia politico-culturale contro il fascismo. Si trasferì definitivamente a Cambridge nell’autunno del 1933 ed iniziò a insegnare Storia della civiltà italiana nel gennaio del 1934. Nel 1949 il Parlamento italiano gli restituì la cattedra all’Università di Firenze. Salvemini non smise mai di denunciare gli antichi mali italiani: le inefficienze, gli scandali, il favoreggiamento dei potenti, il fallimento della scuola pubblica, le ingerenze clericali.
Morì a Sorrento il 6 settembre 1957.
L’occasione del 60° anniversario della morte può offrire l’opportunità per valorizzarne ulteriormente la biografia e l'opera di storico, antifascista e intellettuale, partendo dalle acquisizioni più recenti cui è pervenuta tanto la storiografia italiana quanto quella internazionale, ovvero quelle legate agli anni del suo esilio e del rientro in Italia che hanno contribuito in maniera determinante a ridefinire il profilo di Salvemini, presentandoci la figura di un intellettuale moderno, cosmopolita, aperto alle contaminazioni culturali che l’esperienza l’americana gli aveva proposto; strenuo e intransigente antifascista, difensore della democrazia, spirito critico capace di anticipare la rapida involuzione del sistema politico italiano nato dalla Resistenza.
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